LIBERI TUTTI di Benedetto Pace (Enna) vince il premio della giuria

Per la tematica affrontata, per l’incisività dei passaggi e per la qualità tecnica della scrittura stessa.

Tecnicamente la sceneggiatura è scritta in maniera ineccepibile, con elementi narrativo-descrittivi atti a suggerire e valorizzare i movimenti di macchina.

Le soluzioni narrative sono ottimali da ogni punto di vista: un racconto lineare dove tutto accade di seguito, senza bisogno di escamotage o sofisticazioni strutturali. Il soggetto è trattato con il taglio secco e asciutto del documentario che abbandona, però, l’intento didattico per concentrarsi sulla difficile e scomoda volontà di denuncia della normalità violata.

I personaggi sono credibili e ben inseriti in una storia ad effetto che intensamente racconta un problema reale e una tematica quanto mai attuale.

In Liberi Tutti si nasconde la verosimiglianza che ha reso grande il “grande” cinema italiano.

 

CINQUE POLLICI E UN QUARTO di Massimo Vavassori (Bergamo) ha ricevuto una menzione speciale dalla giuria

Sublime esempio di gusto letterario; si distingue per la parte descrittiva ed emozionale: personaggi ed ambienti sono delineati con uno spiccato spessore creativo. I luoghi si vedono, si sentono. I sentimenti si toccano.

L’atmosfera è delicata e lascia spazio ad un immaginario che prende spunto dalla vita vera: la leggerezza con cui viene trattato il tema della solitudine è veramente rara. Una solitudine contemporanea e lacerante, che afferra persone vicine ma ormai distanti anni luce. Come questo padre, e questo figlio, dimenticati e dimenticatisi, ognuno nel proprio spazio.

L’esiguità dei dialoghi è funzionale all’intreccio e al messaggio.

 

GRETA DI NOTTE di Angela Gianmatteo (Roma) ha ricevuto una menzione speciale dalla giuria

Ricorda le sceneggiature che vedevano Monica Vitti protagonista delle pellicole di Antonioni.

Un ritratto di donna ben fatto, alla stregua di quelli che hanno popolato il cinema francese negli anni della nouvelle vague: bello, schietto, diritto al messaggio.

Dialoghi funzionali a dirigere una storia che è una metropolitana; che passa nel cuore notturno di una città. Alla ricerca di qualche “caramella” che rende più dolce e docile l’esistenza.

Una storia fatta di incontri felliniani e di tanta, tanta solitudine. Il tutto narrato senza disperazione, con un distacco molto affascinante, tipico di quegli anni sessanta e del loro cinema.

Bellissimo lo spazzino, bellissimi i due sposi in autobus, bellissimo il personaggio del portatore di statue con la sua micro-storia.