di Roberto Andò
Italia 2013 -94’-
con: Toni Servillo, Valerio Mastandrea,
Valeria Bruni Tedeschi
Il segretario del principale partito d’opposizione, Enrico Oliveri, è in crisi. I sondaggi per l’imminente competizione elettorale lo danno perdente. Una notte, dopo l’ennesima contestazione, Oliveri si dilegua, senza lasciare tracce. Negli ambienti istituzionali e del partito, fioccano le illazioni, mentre la sua eminenza grigia, Andrea Bottini e la moglie, Anna, continuano ad arrovellarsi sul perché della fuga e sulla possibile identità di un eventuale complice. È Anna a evocare il fratello gemello del segretario, Giovanni Ernani, un filosofo geniale, segnato dalla depressione bipolare. Andrea decide di incontrarlo e ne resta talmente affascinato da iniziare a vagheggiare un progetto che ha la trama di un pericoloso azzardo. Così, d’improvviso, un bel giorno, il segretario riappare sulla scena: inizia a parlare una lingua diversa, poetica e lucida, che colpisce, sorprende. Le quotazioni del partito riprendono a salire, mentre l’opinione pubblica e le piazze tornano a infiammarsi d’entusiasmo. In breve, nel rapido succedersi di eventi che caratterizza la campagna elettorale, il segretario diventa oggetto di una ammirazione senza precedenti. Ma qualcuno, dal suo nascondiglio segreto, ne segue i movimenti, in attesa…
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Le recensioni scelte da Gulliver:
Da: Internazionale, numero 988, 22 febbraio 2013
articolo di: Vanka Luksic
Viva la libertà è un film da non perdere. Con un Toni Servillo da Oscar, nel doppio ruolo del leader dell’opposizione, Enrico Oliveri, spento e depresso, e di suo fratello gemello, un filosofo un po’ matto (appena uscito da un ospedale psichiatrico), pieno di vita e di ideali. La campagna elettorale va malissimo, Oliveri non ne può più e sparisce. Va a rifugiarsi a Parigi da una vecchia fiamma (splendida Valeria Bruni Tedeschi). Il suo segretario, Bottini (magnifico Valerio Mastandrea), disperato, trova una soluzione: il fratello gemello, il professor Giovanni Ernani, prenderà il posto di Enrico per continuare la campagna. E, grazie a lui e ai suoi discorsi così poco convenzionali e poetici, l’opposizione ritroverà lo slancio perduto.
Tutti dovrebbero vedere Viva la libertà, i politici e gli elettori. La lezione del professor Ernani è una lezione di vita preziosissima: in questo mondo dominato dal catastrofismo, al posto della paura deve tornare la passione. La scena del tango con la cancelliera tedesca è geniale. Si ride e si riflette. Ogni dettaglio è curato, anche i nomi non sono casuali. Si esce dal cinema canticchiando, come il professore, le note dell’ouverture della Forza del destino di Verdi.
Da Ondacinema recensione di Carlo Cerofolini
Ciclicamente la politica ed i suoi sodali tornano ad interessare i nostri registi. Costola nobile del movimento neorealista, il cinema che si occupa della “res pubblica” si è distinto nel corso del tempo per la tendenza a descrivere il potere e le sue istituzioni con una lente deformante, capace di descrivere le forme di una stortura che sembra connaturata con l’esercizio stesso di quella funzione. Nel farlo ha concepito personaggi ambivalenti per natura, in quanto combinazione d’elementi che appartengono al reale ed all’astratto, ma innanzitutto portatori di un io smisurato per la capacità di diventare luogo della retorica e del continuo mascheramento. Dall’invenzione del ministro Giovanni Botero (“Il portaborse”, 1991) alla psico biografia del “divo” Giulio (“Il divo“, 2008) passando per le boutade dei vari Armando Feroci (“Gallo Cedrone”, 1991) e Massimo Bonfili (“Commediasexi, 2006) e senza dimenticare il Berlusconi telecratico di “S.B. Io lo conoscevo bene” (2012) appena giunto sugli schermi, l’uomo politico nel cinema italiano è destinato, per eccesso di idiosincrasie, a fagocitare l’attenzione dello spettatore. Anche a costo di mettere in secondo piano la dialettica tra il cittadino eletto dal popolo e l’humus sociale e culturale in cui nasce e si svolge la sua azione.
In questo caso poi la posta messa in palio da Roberto Andò con il suo “Viva la libertà” era ancora più alta, perché la storia del segretario del principale partito d’opposizione Enrico Olivieri, e del fratello gemello Ernani che ne prenderà il posto quando il primo fuggirà da una vita deprimente e da una campagna elettorale fallimentare, non era solo la rappresentazione di una crisi simbolica – dei valori di un partito e delle sue idee, ma anche di una nazione che non è più in grado di generare gli anticorpi necessari ad eliminare le sue disfunzioni – e quindi attribuibile a qualunque stagione politica, ma al contrario si collocava nella contingenza quotidiana, con tutti i riferimenti del caso, e con un tempismo – accelerato anche dal distributore che cavalcando i tempi ne ha anticipato l’uscita – da istant movie per la sovrapposizione tra le vicende dello schermo, e quelle che media e giornali ci stanno raccontando nel corso di queste settimane, come quelle del film caratterizzate dal dibattito elettorale e dalla caccia al voto. Materiale incandescente che il film traduce attraverso due stati d’animo differenti ed opposti, fatti risalire alle diverse condizioni dei due fratelli. Così se da una parte c’è lo spaesamento di Enrico di fronte ad un’inquietudine che è innanzitutto una crisi di coscienza personale, che, come vedremo, farà entrare in gioco attraverso la figura di Danielle (Valeria Bruni Tedeschi) un sospeso che ha influito negativamente sui rapporti tra i due protagonisti, dall’altra si assiste ad una rinascita per interposta persona, attraverso la leggerezza di un uomo, Ernani, appena uscito da un centro di igiene mentale, che mette a disposizione – del fratello, del partito, del paese – la propria libertà intellettuale e l’indipendenza di giudizio affinché si compia il miracolo di una politica che smetta di “inventare la realtà e di conseguenza cessi di essere impostura”. Diretto e sceneggiato da Roberto Andò che lo ha tradotto per il cinema dopo averlo scritto sotto forma di romanzo (con il titolo di “Il trono vuoto”, esordio letterario del regista) “Viva la libertà” mette la politica sul lettino dello psicanalista, e lo fa iniziando da ciò che gli sta più a cuore, e che forse conosce meglio, ovvero da quella corrente d’opposizione in cui non si fa fatica a riconoscere il partito democratico, per analizzare le ragioni di una promessa mancata, ma soprattutto per rilanciarne l’azione, facendo leva sugli ideali smarriti. Una mancanza d’identità ed uno scoramento sottolineato dall’inerzia con cui viene ritratto non solo Olivieri, ma anche il resto dei “compagni”, gregge laconico e smarrito in attesa del figliol prodigo. Nella difficoltà di pronunciare “qualcosa di sinistra” Andò mette in campo possibili modelli, e lo fa affidandosi alle parole ed alle poesie di Bertolt Brecht, pronunciate da Ernani tra lo sbigottimento degli astanti in una delle prime apparizioni sotto mentite spoglie, oppure riproponendo la figura di Federico Fellini, artista senza compromessi, la cui strenua opposizione, e la successiva sconfitta di fronte al decadimento culturale rappresentò un segnale d’allarme (inascoltato) verso il punto di non ritorno. Il regista fa di lui una specie di Cassandra quando ce lo mostra in un breve inserto d’archivio. Solitamente pacato e dalla voce gentile, Fellini vi appare urlante e scomposto per l’inquietudine di una violazione, quella subita dalle sue opere, tagliate arbitrariamente per fare spazio agli inserti pubblicitari, che sembra ferire non solo la sua dignità d’autore ma anche quella di migliaia di Italiani costretti a subire l’imbarbarimento imposto dal profitto.
Una chiamata alle armi che il regista affida all’esperienza e soprattutto alle qualità di Toni Servillo, attore “civile” se ce n’è uno, che, sull’esempio indimenticabile di un grande come Gian Maria Volontè, e sulla scia di un curriculum segnato in maniera indelebile da personaggi provenienti dal mondo politico (oltre al film di Sorrentino, lo ricordiamo nel recente e sottovalutato “Bella addormentata“, 2012) si cimenta nel doppio ruolo di Olivieri ed Ernani a cui presta un camaleontismo fatto di esperienza, ed anche di cuore. Il risultato è un’interpretazione a fasi alterne giocata molto sui diversi registri del film (grottesco, surreale ed anche intimo) e che però, più di una volta, corre il rischio di diventare istrionica e di maniera. Complessivamente invece, pur riconoscendo il livello della confezione, e l’impegno profuso tanto nella qualità della componente attoriale, quanto nella precisione della messinscena, non si può non notare una semplificazione eccessiva nelle psicologie dei personaggi, e più in generale nell’apparato teorico della storia, presente in maniera esaustiva nel libro, ed invece carente nella trasposizione filmica. Una riduzione che conferisce all’opera un senso d’approssimazione ed una consequenzialità aprioristica, calcolata invece che spontanea. In questo senso è illuminante la decisione finale di Olivieri, quella che decide le sorti della vicenda, la cui resa oltre alla sensazione di non essere supportata dal necessario bagaglio emotivo, sembra sciogliersi con un fare nebuloso, e con una motivazione figlia più del desiderio di chiudere il cerchio che di spiegarlo. Da questo punto di vista risulta migliore, anche se un po’ troppo compiaciuta (ci riferiamo ai vezzi ed ai tic rivelatori di una latente follia), la figura di Ernani, almeno lui, estrinsecato come si conviene ad un fool della sua portata. Favola filosofica che indaga sui mali di un paese in agonia, “Viva la libertà” non mancherà di stupire per l’irridente scherzosità di certi passaggi, fatti ad arte per ironizzare su una classe politica che si copre di ridicolo (anche il presidente della Repubblica non viene risparmiato) ma rimane forte l’impressione dell’ennesima occasione mancata.