di Ken Loach

Regno Unito, Francia, Belgio, Italia 2012 -106-

con: Roger Allam, John Henshaw,

Daniel Portman, William Ruane

 

 

 

Una commedia dolceamara incentrata su Robbie, un ragazzo di Glasgow che cerca di liberarsi della faida famigliare che lo tiene prigioniero. Quando entra di nascosto nel reparto maternità dell’ospedale per far visita a Leonie, la sua giovane ragazza, e prendere in braccio per la prima volta Luke, il figlio appena nato, Robbie è sopraffatto dall’emozione e giura che Luke non avrà la vita di privazioni che ha vissuto lui. Mentre sconta una condanna a svolgere lavori socialmente utili, Robbie conosce Rhino, Albert e Mo, per i quali un impiego è, come per lui, poco più di un sogno remoto. Robbie non immagina certo che dandosi all’alcool le loro vite cambieranno. E non scadenti vini liquorosi, ma i migliori whisky di malto del mondo. Che ne sarà di Robbie? Lo aspettano altre vendette e violenze o un nuovo futuro con la uisge beatha, la ‘acqua di vita’? Solo gli angeli lo sanno…

Premio della Giuria al 65° Festival di Cannes 2012

Le recensioni scelte da Gulliver per voi:

La parte degli dèi era quella che, nei sacrifici, i Greci riservavano agli Olimpi. Era cioè la carne trattenuta dai sacerdoti, detti per questo parassiti (alla lettera, che mangiano presso altri). La parte cui invece rimanda già nel titolo la fiaba sottoproletaria di Ken Loach e dello sceneggiatore Paul Laverty è quel due per cento che il whisky perde per ogni anno di stagionatura, e che – come si dice nelle Highlands – si bevono gli angeli. Né creature celesti né infernali, ma solo poveri diavoli sono i protagonisti di “La parte degli angeli” (“The Angels’Share”, Gran Bretagna, Francia, Italia e Belgio, 2012, 101’). In compagnia di altri ladruncoli e “parassiti” sociali, il giovane Robbie (Paul Brannigan) sta pagando il proprio debito verso la legge con qualche centinaio di ore di lavoro socialmente utile. Sa però che mai troverà un impiego, e che mai potrà mantenere il figlio appena avuto da Leonie (Siobhan Reilly). Per lui, nella Glasgow operaia del dopoThatcher e del dopo-Blair nel futuro non c’è che la galera. Solo Harry (John Henshaw), il responsabile del gruppo di lavoro, è disposto a dargli un’altra e forse ultima possibilità. Come un padre, lo aiuta nel suo sforzo di diventare egli stesso un buon padre, e nei ritagli di tempo lo introduce ai piacevoli misteri del whisky. E Robbie ha un tal buon naso e buon palato da distinguere presto quello gramo da quello ottimo e da quello eccezionale. Se il film di Loach fosse (solo) realistico, la sua conclusione sarebbe tragica. Troppo povero e troppo segnato da risse e violenze, Robbie non può entrare nel mondo che la legge considera pulito. Troppo debole e troppo legato a Leonie e al figlio, non può nemmeno farsi largo nel mondo che prospera ai bordi della legalità, o fuori. Per l’uno e per l’altro non è che una bestia da sacrificio, e da macello. Perché allora non provare a capovolgere il fato? Allo scopo, basterebbe saper annusare bene un whisky da collezionisti miliardari, e venderne in giro qualche bottiglia, magari con l’aiuto di altri come lui, esclusi da ogni futuro. È qui che il realismo si trasfigura in fiaba, in una fiaba con il gusto pieno e profumato di un malt mill delle Highlands. Per una volta, e alla faccia dei disastri sociali di quel liberismo che da sempre Loach racconta, i poveri diavoli si riprendono la parte che loro spetta. Difficilmente gli angeli ne saranno dispiaciuti.

Roberto Escobar – da: L’espresso