Regno Unito 2011 -113’-
con Glenn Close, Mia Wasikowska, Jonathan Rhys Meyers
La pluripremiata attrice Glenn Close (Albert Nobbs) indossa i panni di una donna coinvolta in un insolito triangolo amoroso. Travestita da uomo per poter lavorare e sopravvivere nell’Irlanda del XIX secolo, più di trent’anni dopo si ritrova prigioniera della sua stessa finzione.
Fabio Ferzetti, Albert Nobbs: un uomo di nome Glenn Close dal quotidiano Il Messaggero
Dopo una lunga giornata di lavoro e autocontrollo il compassato Albert Nobbs, naso importante e vaga somiglianza con Spencer Tracy, si ritira nella sua stanza per riposare. Prima però conta le mance, scribacchia su un taccuino, nasconde le monete sotto il parquet, getta un’occhiata alla misteriosa foto di una giovinetta e finalmente inizia a spogliarsi, allentando le fasce che comprimono il seno sotto il tight d’ordinanza.
Uso a servir tacendo, l’inappuntabile Albert Nobbs è infatti una donna, di cui non sapremo mai nemmeno il nome. Una figlia illegittima, cresciuta malamente nella Dublino miserabile fine ’800, e ora cameriere in un grande albergo senza che nessuno sospetti la sua identità.
Tratto da un racconto dell’irlandese George Moore, Morrison’s Hotel, Dublino (Tranchida, in ristampa col titolo del film), adattato per le scene dalla francese Simone Benmussa nel ’77 e interpretato da attrici diversissime anche fisicamente, da Susannah York a Juliet Berto, da Maddalena Crippa a Aurore Clément, Albert Nobbs è stato per anni un cavallo di battaglia di Glenn Close a teatro. In una versione che però evitava il naturalismo e i problemi di rappresentazione connessi, ricorrendo addirittura al mimo per alcune scene. Mentre per raccontare con linguaggio volutamente piano non solo Nobbs ma trame e sottotrame del suo mondo, il film di Rodrigo Garcia, scritto (con John Banville), prodotto e dominato da Glenn Close, si perde invece in forzature e stridori che minano la forza di un racconto fin troppo nutrito di suggestioni.
Al dramma dell’identità e di quella vita bloccata nella finzione, Nobbs aggiunge infatti lo scontro con le convenzioni e le ipocrisie dei ricchi clienti (bella la scena dei giovani blasonati che si danno al bel tempo in abiti femminili sotto il suo sguardo impassibile). Nonché la paradossale consapevolezza di non essere sola. Anche l’imbianchino dell’albergo è infatti una donna in abiti maschili (la notevole Janet McTeer, candidata all’Oscar con Glenn Close). Che però avendo risolto felicemente, si fa per dire, la faccenda, riporta a galla i sogni più folli e repressi del povero Nobbs che va a incapricciarsi dio solo sa perché di una giovanissima collega (Mia Wasikowska).
Troppi eventi insomma, e troppi registri, per un film che solo a tratti mette davvero le ali, lasciando intravedere cosa avrebbe potuto dare il cinema al soggetto. Come nella scena in cui McTeer e Close si concedono una passeggiata al mare, per una volta in abiti femminili, in un’esplosione di sensualità e gioia di vivere che ci avvicina – finalmente – un personaggio sempre un po’ congelato nella sua ostentata diversità.