di Mateo Zoni

Italia / 2011 -67’-

con: Paola Pugnetti, Giada Meraglia, Marcella Diena, Marco Romeo

 

Paola sta per compiere diciotto anni, di cui gli ultimi quattro trascorsi lontano dalla famiglia, in comunità. Non può e non vuole tornare a casa. Figlia di una donna musulmana e di un contadino, si trova divisa tra due culture molto diverse tra loro. Ora sarà inoltre costretta ad affrontare, dopo un lungo periodo di sofferenza, tutte le difficoltà legate alla fine dell’adolescenza e all’ingresso nell’età adulta.

Guarda il trailer: Ulidi piccola mia – MYmovies

La recensione scelta da Gulliver per voi:

Dalla redazione del Torino Film Festival

Raffaele Meale
Torino, 30-11-2011

Nei giorni precedenti all’apertura della ventinovesima edizione del Festival di Torino si era alzato un certo clamore, sulla stampa italiana, nei confronti di Ulidi piccola mia, opera d’esordio di Mateo Zoni accolta nel concorso ufficiale. Una curiosità dettata dal nome di Zoni, sconosciuto anche agli addetti ai lavori, dalla provenienza del regista (la provincia di Parma, lontano dai clamori metropolitani di cui è intriso solitamente il cinema italiano), e dalla tematica trattata in questo suo primo, breve lungometraggio – poco più di un’ora di durata. Ulidi piccola mia racconta la storia di Paola, una giovane ragazza che vive da alcuni anni in una comunità a causa delle crisi depressive che la portano all’autolesionismo e in passato l’hanno addirittura trascinata a pochi passi dal suicidio: il suo mondo è fatto di vita comune insieme ad altri ragazzi in terapia (in particolare Giada, affetta da un leggero ritardo mentale, e Marcella), del praticantato in un corso di estetica e di cura del corpo e delle settimanali visite alla cascina di famiglia, dove ritrova i genitori, il fratello minore e tutti gli altri parenti. Semplificando al massimo il discorso, si potrebbe tranquillamente affermare che il film di Zoni sia tutto qui: un pedinamento incessante, di natura squisitamente zavattiniana, che rincorre un’anima irrequieta, alla ricerca ostinata della propria tenerezza perduta, all’interno di una realtà sociale composita e con la quale non è facile interagire.
Opera magmatica e a tratti realmente difficile da classificare, Ulidi piccola mia è ispirata dal volume Fuga dalla follia – Viaggio attraverso la Legge Basaglia di Maria Zirilli, ma si basa su un collage incessante di ipotesi e aneddoti, in una mescolanza di realtà e finzione che finisce per stordire anche lo spettatore più smaliziato. Zoni è venuto a conoscenza della travagliata storia personale di Paola grazie a uno spettacolo teatrale in cui la ragazza si esibiva nella canzone che apre anche il film, e ha deciso di focalizzare su di lei l’attenzione. Da qui è partito un processo assai complesso, vista anche la delicatezza della tematica affrontata, portato avanti lavorando con i ragazzi, con i parenti, con i responsabili della comunità, con le autorità del luogo – il film, oltre a essere stato acquistato da Cinecittà Luce, vede tra i vari enti patrocinanti anche la provincia e il comune di Parma. L’unica definizione che potrebbe forse rendere chiara l’operazione ardita tentata dal giovane regista è quella di “documentario ricostruito”, visto che Zoni ha spesso rimesso in scena fatti avvenuti nei giorni e nelle ore precedenti: un approccio singolare, e che potrebbe anche far sorgere dubbi legittimi sulla verità di quanto viene narrato, ma che Zoni dimostra di saper padroneggiare con una certa maturità autoriale. Le scelte estetiche di Ulidi piccola mia sono chiare, e mescolano il già citato pedinamento a un andirivieni episodico che permette al film di vivere di sprazzi, squarci fulminei cui fanno seguito improvvise stasi, in una gestione del ritmo assolutamente personale e apprezzabile. Anche se indubbiamente la reale forza di Ulidi piccola mia sta tutta nello sguardo magnetico, scoraggiato e carico di una furia salvifica di Paola, adolescente irrequieta alla ricerca di una propria stabilità: le videocamere di Zoni si attaccano alla giovane, facendo in modo che la narrazione respiri all’unisono con lei. Mateo Zoni pone la firma in calce a una versione imberbe e meno stratificata – soprattutto per quel che concerne la riflessione sulla macchina/cinema e sul ruolo eversivo affidato all’elemento della scena – del capolavoro di Alberto Grifi Anna, regalando al pubblico almeno due momenti di altissimo cinema: il ritorno a casa per il fine settimana e il pasto serale al ristorante, con gli ospiti della comunità in libera uscita.
Non è esente da difetti l’esordio di Zoni, ma pone senza dubbio le basi per un’esperienza autoriale del tutto estranea alla prassi dell’Italia contemporanea. Il rischio è che, come ogni opera che osa distaccarsi dalla norma, anche Ulidi piccola mia venga sottostimato, incompreso e deriso. Sarebbe un errore grave, perché sono piccoli film come questo a indicare una strada alternativa a quella che sta spingendo anno dopo anno il cinema italiano in fondo a una scarpata.